Si parla spesso di lingue facili o difficili da imparare e di persone che sono “portate” o no per le lingue, e ciò crea ulteriori pregiudizi un un paese come l’Italia in cui vi è sempre stata e vi è tuttora una difficoltà di apprendimento delle lingue dovuta in parte alla totale assenza, almeno fino alla fine dello scorso secolo, di docenti di madre lingua nelle scuole nonché al tardivo inizio del contatto con una lingua straniera ed in parte a motivi storici, in particolare alla politica di centralismo linguistico del governo italiano iniziata con l’Unità di Italia e protrattasi anch’essa fin verso la fine del XX secolo.
In realtà credo si possa dire che “essere portati per le lingue” è in primo luogo una caratteristica di coloro che fin da piccoli siano venuti in contatto con una realtà in cui si facesse uso di più lingue, ad esempio il figlio di padre italiano e madre cinese nato in Burkina Faso e trasferitosi a dieci anni fra gli irochesi (mi rendo conto che si tratti di un esempio un po’ al limite) e che è anche correlata al numero di lingue già conosciute. Per un adulto, il vero problema nell’apprendere una lingua straniera (a meno che non intenda limitarsi ad ordinare il caffè al bar) è imparare ad uscire dalla propria lingua ed a pensare direttamente nell’altra lingua, cosa che con il crescere dell’età diventa quasi impossibile.
Quanto alle lingue facili o difficili, credo si tratti di un falso problema:; di fatto i bambini di qualsiasi lingua madre imparano a parlare alla stessa età. Forse la maggiore o minore difficoltà può essere legata alla maggiore o minore differenza con la propria lingua madre.