Industrializzazione forzata

L’industrializzazione forzata della Russia, iniziata da Nicola II e proseguita sotto Stalin, fu l’unico metodo possibile per industrializzare un paese che non aveva né iniziativa privata né capitali disponibili.

Un’industrializzazione di tale tipo ha costi molto più elevati, anche in termini umani, ed in generale non è basata su innovazione endogena bensì su innovazione importata, e ciò aumenta ancora i costi e penalizza in parte il risultato.

A ciò si aggiunse l’ulteriore sforzo durante la seconda guerra mondiale, che peraltro è un caso di economia di guerra spinta al massimo: senza questo sforzo (e senza gli aiuti americani) l’Unione Sovietica non sarebbe stata in grado di tener testa alla Germania.

Peraltro, l’idea di una politica di industrializzazione forzata allo scopo di accelerare lo sviluppo economico fu un’idea ricorrente nel XX secolo: ne abbiamo un esempio nella politica industriale del fascismo italiano, in particolare con la creazione dell’Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI), la cui attività divenne ancor più importante nel dopoguerra, e nel vasto programma di costruzione di infrastrutture ed opere pubbliche (in particolare strade, ferrovie e bonifiche).

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