In epoche passate, ma non poi così lontane che alcuni di noi non possano ancora averne ricordo, per andare in chiesa si metteva l’abito della festa, almeno per la S. Messa domenicale. Ricordo che, nel corso di un dibattito con alcuni colleghi del Consiglio Pastorale Diocesano, io ebbi a dire che oggi in chiesa si vede di tutto, e che non sarebbe male se si spiegasse ai fedeli che devono presentarsi non dico con l’abito della festa, che oggi non esiste più, ma comunque vestiti decorosamente. Mi fu fatto notare che “non si può respingere l’operaio che si presenta a Messa, prima di andare al lavoro, indossando la tuta”, bella frase da socialismo ottocentesco o da libro “Cuore”; ricordo di avere risposto che “in realtà oggi il problema non è l’operaio in tuta, ma il dirigente d’azienda che si presenta tutto sudato, in tuta e scarpe da ginnastica”.
Alcuni anni dopo, mi trovai per caso a partecipare ad una Messa, in una città italiana, in cui veniva amministrata la S. Cresima agli adulti: le ragazze, anche se con pessimo gusto, avevano almeno tentato, i ragazzi erano vestiti in una maniera assurda. Ne ricordo uno con jeans strappati e t-shirt violetta con testa di leone nera, ero sicuro che il tetto della chiesa si sarebbe scoperchiato e sarebbe apparso l’arcangelo Michele, con spada, urlando: “(omissis), vatti a cambiare!”, ma evidentemente aveva altri impegni.
Scherzi a parte, se uno crede a ciò che sta facendo non può e non deve presentarsi in chiesa con un abito trasandato o in disordine, né in canottiera, né in pantaloni corti o con i jeans tagliati. Potrei continuare l’elenco: vero è che in passato i poveri andavano in chiesa vestiti male, ma ciò avveniva perché non avevano di che vestirsi, non perché erano trasandati.