L’ipotesi del debito irredimibile

Il debito pubblico italiano, già prima del COVID, aveva raggiunto un importo superiore al 130% del PIL, cifra elevata, certamente, cui però fanno da riscontro un importo equivalente – se non maggiore – gli importi del risparmio privato, del patrimonio dello Stato, delle riserve auree. In altri termini l’Italia come “sistema Paese”, come oggi si dice, è sostanzialmente in pareggio.

Da aggiungere che la maggior parte di questo debito ha come ”creditori” le famiglie, i gestori del risparmio (fondi pensione e simili istituzioni pubbliche o private, impegnate a garantirsi un reddito costante con gli interessi), le banche e le compagnie di assicurazioni: la parte del debito in mani straniere è circa del 35%.

Su questo debito si pagano gli interessi, che ammontano a meno del 5% del bilancio dello Stato, cifra comunque considerevole.

Ma la questione del debito, visto come un macigno che grava sull’Italia come il masso sulle spalle di Sisifo, suscita allarmi e preoccupazioni.

Se l’Italia avesse il controllo della Banca Nazionale (mentre la Banca d’Italia è stata di fatto resa indipendente nel 1981 da Beniamino Andreatta) e dell’emissione della moneta, potrebbe fare in parte a meno dell’emissione dei titoli di debito stampando denaro (stando solo attenta a non far salire il tasso d’inflazione oltre un limite assorbibile) come fanno USA e Giappone. Personalmente ritengo che si tratti di una strada rischiosa, oltre che non compatibile con la permanenza nell’euro.

Nel passato, però, l’Italia – così come avevano fatto altri Paesi europei – seguì un’altra strada per congelare il debito pubblico: quella di renderlo “irredimibile”, ossia non più rimborsabile il capitale ma pagando per un periodo non predeterminato ma assai lungo, solo gli interessi istituendo così una rendita. Ci furono due personaggi politici che fecero queste operazioni. Il primo fu Giovanni Giolitti, che nel 1906 istituì – mediante il consolidamento e l’irredimibilità del debito – la rendita al 3,5% e al 5%. Da notare che all’epoca la Lira godeva di una grande stabilità e quindi la modifica fu accolta con favore.

L’altro personaggio fu Benito Mussolini che si trovò un forte debito pubblico conseguente alla guerra e alle turbolenze del dopoguerra: così varò nel 1926 un “prestito del Littorio” basato sulla conversione in rendita del debito accumulato, e che ebbe un grande successo.

Da tener presente che i possessori di questi titoli di rendita se li potevano scambiare in Borsa, dove nei listini c’era un apposito spazio per le quotazioni, senza che questo fatto influenzasse o preoccupasse la politica finanziaria del governo, il quale non aveva l’assillo periodico – come oggi – di sapere se i rinnovi dei BOT, BTP, CCT e simili sarebbero stati coperti dagli acquirenti, e a quale tasso d’interesse.

Ci domandiamo se una simile operazione sia possibile oggi, a livello italiano o europeo.

A livello italiano con l’emissione di una Rendita Nazionale come già fatto altre volte con successo: non so come ciò sarebbe visto in ambito europeo, tuttavia ritengo che un titolo irredimibile tecnicamente costituisca un’obbligazione di pagamento differito perpetuo ma non un debito di capitale e pertanto non possa essere considerato una componente del debito pubblico (da verificare).

A livello europeo, si potrebbe pensare ad un’operazione del genere, assumendo una parte dei debiti dei Paesi membri ed emettendo a copertura suoi titoli  che potrebbe anche rendere irredimibili come rendita perpetua : sarebbero ben accolti perché garantiti dal grande potenziale economico e produttivo dell’Unione Europea.

Ma forse quest’ultima è un’ipotesi di “fanta-finanza”

(testo ispirato dalla fonte: http://www.ilpensieroforte.it/economia/1356-l-ipotesi-del-debito-irredimibile, aggiornato e modificato in alcuni punti.)

Gianluca di Castri, 27/06/2020 (CC BY-NC-ND)

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