Immigrazione e demografia

È di moda affermare che l’immigrazione è necessaria per sostituire il vuoto conseguente al declino demografico, e questo sventuratamente è vero, tuttavia vengono spontanee alcune considerazioni.

  1. Perché non si persegue una politica fortemente in favore della famiglia, in modo da incentivare la natalità? Lo stato non può costringere a fare figli, ma può creare le condizioni per evitare che fare figli sia penalizzante, in altri paesi sono riusciti a rallentare il declino o, almeno in un caso, ad invertire la tendenza dunque è possibile, se è possibile si può fare anche da noi.
    1. Certo, non bastano le elemosine e le elargizioni “una tantum”, serve un progetto complesso, di difficile accettazione per una classe politica che non solo non sa vedere oltre il ciclo elettorale ma, in aggiunta, è oramai abituata ad una campagna elettorale a tempo pieno.
    2. La proposta che viene spontanea è di reperire i fondi necessari, o almeno parte di essi,  riducendo le spese eccessive (e principalmente sprechi e forse ruberie) devolute al sostegno dell’immigrazione, non parlo evidentemente di coloro che hanno il diritto allo status di rifugiati né di fare annegare la gente in mare.
    3. Il paragone che si fa comunemente con l’emigrazione degli italiani è suggestivo e commovente, ma non tiene conto del fatto che l’emigrazione nelle Americhe nel XIX e nella prima metà del XX secolo era stata chiamata per popolare paesi quasi deserti, mentre l’emigrazione in altri paesi europei nel secondo dopoguerra era dovuta a richiesta di manodopera ed è stata in parte un’emigrazione temporanea. Tale emigrazione ha comunque impoverito economicamente l’Italia, in particolare le zone già depresse, ed ha dato vantaggi finanziari alle zone d’Italia già industrializzate.
    4. Attualmente invece l’Italia esporta personale qualificato, spesso di alto livello, ed importa manovalanza cui non è in grado di offrire lavoro: non mi sembra una buona politica.
    5. Dovendo comunque accettare una certa quota di immigrati, perché non fare “ponti d’oro” a coloro che provengono da culture simili alla nostra ed in particolare ai discendenti di emigrati italiani che si sono a suo tempo trasferiti?
  2. Il passo successivo al declino demografico è la morte di una civiltà, la domanda è: è questo che vogliamo? Visto l’autolesionismo in questo campo di molti europei, e degli italiani in particolare, la risposta probabilmente è affermativa. In questo caso è inutile tentare soluzioni, si deve però avere il coraggio di dichiararlo e di non nascondere la realtà dietro complicati giri di parole.
  3. A maggior chiarimento, il declino demografico porta
    1. ad un invecchiamento della popolazione e successivamente al suo declino numerico, di fatto già in corso. Le conseguenze sono la diminuzione del PIL in valore assoluto prima, e successivamente anche del PIL pro capite
    2. All’aumento delle spese sanitarie e pensionistiche (a meno che non si voglia fare come in un  film di fantascienza degli anni ’70 e porre un limite di età, in altre parole iniziare ad uccidere gli anziani – si  porrebbe  il problema di cosa fare di coloro che possono vivere e curarsi con fondi propri o disponibilità familiari) e di conseguenza all’aumento della pressione fiscale ed alla mancanza di fondi per la scuola, la ricerca  ed altre attività per cui, paradossalmente, ad aggravare o comunque a non risolvere il problema della disoccupazione giovanile.
    3. Ad una “decrescita infelice”. La decrescita felice di cui molti amano parlare, nel mondo reale non è possibile, si tratta solo di un ossimoro, come il ghiaccio bollente o, meglio ancora, l’intelligente scemo.
  4. Sempre a maggior chiarimento, l’immigrazione incondizionata ed incontrollata porta
    1. Ad una progressivo decadimento dell’economia per i motivi di cui al punto 1.4
    2. Alla scomparsa della nostra civiltà o comunque alla sua trasformazione in qualcosa di completamente diverso
    3. Vale la pena di ricordare che molte civiltà sono sopravvissute alla sostituzione della classe dirigente (l’esempio della Cina è il più evidente), ma non mi risulta che alcuna civiltà sia sopravvissuta alla sostituzione della popolazione.

3 commenti

  1. Io credo che la base del fallimento dell’occidente sia la macroeconomia. Mi spiego: il meccanismo della borsa o del debito, o meglio, degli interessi del debito tra stati non permetterà mai una gestione della cosa pubblica serena in tutto l’occidente. Sarà sempre un tamponare falle che aumentano più velocemente di quanto noi riusciamo a fare per evitare le perdite. Credo poi che il meccanismo della borsa sia una cosa perversa che prima o poi arriverà ad un punto di rottura: e lì saranno volatili per diabetici…

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  2. La base del fallimento dell’Occidente purtroppo non è solo la macroeconomia, che è solo la conseguenza di un problema più grande che non è economico bensì antropologico. La mancanza di qualsiasi tipo di ideale o valore di riferimento, sia esso religioso o anche semplicemente ideologico, ha portato allo sfacelo della famiglia ed alla liquefazione del tessuto sociale con conseguente crisi demografica ormai probabilmente irreversibile. Certo, è difficile accettare che la civiltà occidentale vive l’ultimo atto della sua decadenza, il cui atto finale potrebbe essere anche più veloce di quanto noi pensiamo: non dimentichiamo che l’Impero Romano d’Occidente era ancora una grande potenza ai tempi di Valentiniano III e crollò dopo qualche decennio, che l’Impero Romano d’Oriente era ancora una grande potenza nella prima metà del secolo XI e crollò nel 1204 o, se preferisci, nel 1453, che l’Impero (?) Sovietico crollò un decennio e l’Impero Francese (quello di Napoleone) in un giorno o, se preferisci, in cento giorni.

    Potrei continuare con gli esempi, ma il nostro problema è: cosa si può fare? A livello personale, solo parlare e scrivere, sperando di non parlare al vento; da un politico degno di tale nome ci si aspetterebbe una visione di lungo termine e non limitata al ciclo temporale ed azioni che possano, se non fermare, almeno rallentare il declino.

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