Premessa e definizioni
Essere pacifisti, nel senso comune del termine, non significa impegnarsi per la pace, in contrapposizione a coloro che si impegnano per la guerra; la contrapposizione, pertanto, non è fra “pacifisti” e “guerrafondai”.
Vi sono alcuni punti fermi, di cui tutti siamo convinti e che comunque riassumiamo:
- Tutti gli esseri umani hanno diritto a vivere in pace; l’uomo, per il solo fatto di esistere come essere umano, immagine di Dio, ha alcuni diritti fondamentali che nessuno dovrebbe mai porre né in discussione né tampoco minacciare; ricordiamo che secondo la Dichiarazione dei Diritti Umani del 1948, ogni essere umano ha diritto
- alla vita,
- alla libertà,
- alla sicurezza ed all’integrità della propria persona[1],
- a professare la propria religione ed
- alle proprie opinioni e coscienza,alla propria nazionalità,
- alla famiglia,
- alla proprietà,
- alla propria libertà di azione, nei limiti consentiti dalla morale, dalla legge e dalle circostanze ed assumendosene comunque la responsabilità,
- ad un posto nella società e ad un tenore di vita compatibile con la dignità umana,
- alla sicurezza sociale,
- all’educazione ed
- a determinare l’educazione dei propri figli,
- alla propria cultura ed
- alla partecipazione alla vita culturale della comunità,
- ad eque condizioni di lavoro.
- La pace è indispensabile per il progresso ed è richiesta dal rispetto della vita umana, ed è compito dei governanti agire per il mantenimento della pace e per evitare le guerre. Essa è un bene supremo, che mai dovrebbe essere messo in pericolo o in discussione; le controversie fra stati, pur legittime ed inevitabili, dovrebbero essere sempre risolte con la trattative fra le parti o con un procedimento di arbitrato internazionale, vincolante per le parti in causa, evitando così il ricorso alla violenza per far valere le proprie ragioni.
Tuttavia, bisogna comprendere bene che vivere in pace non significa accettare qualsiasi sopruso da parte di chi in pace non vuole vivere.
Esistono situazioni in cui è legittimo difendere se stessi ed altre in cui si ha il dovere, nei limiti delle proprie possibilità e con il minimo di violenza necessario allo scopo, di intervenire a difesa di chi è minacciato o oppresso; anzi, ciò è un preciso obbligo per coloro che hanno per loro compito la difesa della vita altrui (Catechismus Catholicae Ecclesiae, 2265).
Anche qualora la pace venga a mancare, restano comunque valide le regole di rispetto della dignità umana ed altre regole morali, che comunque bisogna osservare, anche in guerra. Queste regole, che furono in passato definite dalla Chiesa, sono ora anche oggetto di convenzioni internazionali accettate quasi universalmente.
Dobbiamo tutti operare e pregare per la pace, nella salvaguardia dei diritti di tutte le nazioni e di tutti i popoli. Operare e pregare per la pace, tuttavia, non significa aderire indiscriminatamente ed acriticamente ai movimenti così detti pacifisti, che pur hanno attratto molti cattolici, sia in passato che recentemente.
Il termine pacifismo è usato in diverse accezioni; in questa sede, intendiamo per pacifisti coloro il cui impegno è per la pace ad ogni costo ed a prezzo di qualsiasi concessione e che ritengono, coerentemente, illegittimo qualsiasi uso della violenza, quand’anche fosse per difendere sé stessi ogni altri. Questo pacifismo ha due origini filosofiche, fra loro diverse ed indipendenti:
- la prima nasce nella cultura e nella religione dell’India (“se essi, con le armi in pugno, uccidessero me sul campo, senza che opponga resistenza, sarebbe la cosa migliore” – Bhagavad Gita, I) e ha avuto, in tempi recenti, il suo massimo esponente nel Mahatma Gandhi;
- la seconda nasce in taluni ambienti protestanti (mennoniti, quaccheri) ed è stata ripresa, nel XIX secolo, da Lev Tolstoji.
In questo senso, il pacifismo è contrario non solo all’autodifesa, ma anche ad azioni di ingerenza umanitaria in difesa di altri o ad azioni di mantenimento o imposizione della pace (peace keeping, peace enforcing), potendo coerentemente ammettere solo azioni umanitarie non armate o azioni di interposizione o di resistenza passiva, sempre senz’armi.
Certo, un mondo in cui non vi sia più alcune necessità di difendersi o di usare la forza è un bel sogno, un’utopia che forse un giorno saremo capaci di realizzare e che sicuramente sarà realizzata in una prospettiva escatologica (Isaia, 2,4;11, 6-9); tuttavia, fino a questo tempo, dobbiamo vivere in un mondo in cui, come conseguenza del cattivo uso che noi facciamo della nostra libertà ed, in particolare, del peccato originale, esiste il male ed esistono forze oscure che spingono l’uomo contro il proprio fratello. La Bibbia, parlandoci di Caino ed Abele, ci ricorda che la nostra società è stata fondata sul fratricidio e, leggendo con più attenzione, si noterà che le prime basi della nostra vita organizzata, della nostra civiltà sono state poste dallo stesso Caino (Genesi, 4, 17).
Il Vangelo
Come abbiamo già detto, molti cattolici sono stati attratti da queste idee; in particolare, essi sono attratti dall’invito di Gesù a porgere l’altra guancia a chi ci schiaffeggia ed a perdonare ripetutamente chi ci rende offesa (Matteo 18,21; Luca 6,29). Il Vangelo, così come l’intera Scrittura, deve essere comunque interpretato considerando il contesto di ogni affermazione e l’integrità del messaggio, mentre qualsiasi interpretazione ottenuta estraendo una sola frase e basandosi solo su quella può condurre ad errore.
Di fatto, in altre circostanze, è Gesù stesso a non porgere l’altra guancia, allorché reagisce con dignitosa fermezza allo schiaffo di un soldato romano (Giovanni, 18, 23); egli non è certo disposto ad accettare supinamente qualsiasi sopruso, e ce lo insegna scacciando i mercanti dal tempio (Matteo 21,12).
Gesù ci insegna a perdonare le offese e ad amare i nemici, ma ci insegna anche ad essere attivi in difesa della verità e contro il peccato, e per esprimere ciò usa parole molto forti: “se il tuo occhio destro……” (Matteo, 5, 29-30); nel Discorso della Montagna, Gesù dichiara “beati i pacificatori” (Matteo 5,9), il termine greco ειρηνοποιοι (eirēnopoioi) propriamente significa “coloro che costruiscono la pace”.
Vero è che, alla fine, Gesù accetta senza difendersi l’arresto e la morte di croce, ma non perché difendersi fosse illegittimo, bensì per adempiere alla volontà del Padre ed alla sua missione redentrice; di fatto Pietro tenta una difesa, e Gesù gli dice “Rimetti la tua spada nel fodero; non berrò io il calice che il Padre mi ha dato?” (Giovanni, 18, 10-11), senza però condannare l’atto in quanto tale. In Luca, 22, 35-39 sono riportate parole di Gesù in cui è chiaramente ipotizzata la possibilità di una difesa armata (“chi non ha una spada venda il mantello e la compri”), anche se tale opzione è superata dalla volontà di adempiere alla propria missione (“tutto quello che mi riguarda è giunto al suo termine”).
Il Magistero
Il Magistero della Chiesa, nel corso diventi secoli, non potendo evitare che vi fosse il ricorso alla forza, anche fra gli stessi cristiani, ha con sano realismo adempito alla funzione di ridurne e regolamentarne l’uso, in modo da evitare gli eccessi e limitare il danno. Di notevole importanza sono le costituzioni del Concilio Laterano del 1215 ed, in epoca più recente, il magistero di Benedetto XV, di cui ricordiamo la lettera enciclica Pacem Dei munus del 23 maggio 1920 ed il magistero di tutti i suoi successori fra cui Pio XII, Giovanni XXIII (in particolare con l’enciclica Pacem in terris), Paolo Vi e l’attuale Giovanni Paolo II che, nel suo messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 2004, ha condannato l’uso arbitrario della forza, ammettendo con ciò l’esistenza di un uso non arbitrario della forza stessa.
«Consapevoli del rischio costituito da un uso arbitrario di essa, ma non meno consapevoli dell’arbitrio costituito, in taluni casi, da un suo non uso……(Giovanni Cantoni, Dopo l’11 marzo 2004, in Cristianità n. 321)»
Nel Catechismo della Chiesa Cattolica (dal 2302 al 2317), d’altra parte, definisce in maniera chiara in quali situazioni sia lecito e talora doveroso ricorrere alla forza militare, ripetendo in ciò quanto già espresso da Sant’Agostino (De civitate Dei, 19, 13) e successivamente ribadito da Francisco de Vitoria e molti alktri, fino alla dalla costituzione conciliare Gaudium et Spes.
Redenzione e peccato originale
«Poichè gli uomini sono peccatori, su di essi grava il pericolo della guerra ed esso graverà fino all’Avvento di Cristo; e tuttavia quando, uniti dalla carità, essi superano il peccato, supereranno anche la violenza, finchè si compiano le parole “convertiranno le loro spade in aratri e le loro lance in falci, la gente non leverà la propria spada contro altre genti né più si eserciteranno alla guerra”»
(Gaudium et Spes, 78).
In definitiva: la pace universale è un’utopia (vedere Isaia), la riduzione del conflitto un obiettivo realistico
([1] Come cristiani, dobbiamo sempre ricordare che il diritto alla vita è esteso anche alla vita nascente ed alla vite morente, che più delle altre devono essere difese, a causa della loro intrinseca fragilità. Potrebbe essere veramente tempo perso preoccuparsi di qualche migliaio di morti in un’operazione militare, quando milioni di esseri umani sono uccisi ogni anno con pratiche abortive.