Alberto Pollera

Ripropongo uno scritto di Maurizio Maggini, trovato su Internet nel corso di una ricerca

Ritratti – Alberto Pollera e il buon colonialismo italiano

LA NOSTRA AFRICA

Mentre ci si cosparge il capo di cenere per i crimini (veri o presunti) dell’Italia in Africa, non guasta ricordare figure come quella di Alberto Pollera, la cui vita fu interamente dedicata allo sviluppo e allo studio della colonia Eritrea.

Con amore e dedizione lavorò per quella che doveva essere una piccola e felice Italia sul mar Rosso. E che invece

la Storia ha consegnato all’oppressione e alla guerra civile

di Maurizio Maggini

Alberto Pollera (1873-1939) è una figura che mette in luce ciò che di meglio vi fu nella controversa storia del colonialismo italiano in Africa Orientale, in particolare quella relativa all’Eritrea, la colonia più vecchia, ormai quasi dimenticata, ma alla quale il nostro Paese rimane legato da vincoli e doveri speciali, che andrebbero riscoperti e rinnovati nella prospettiva di un avanzato concetto di amicizia, collaborazione e aiuto allo sviluppo. Ripercorrere la vita e le opere di Alberto Pollera è un modo per riaprire una storia su cui è caduto l’oblio e rendere giustizia ad un personaggio eccezionale che, per capacità e spirito di servizio, offre una lezione morale e civile oggi più che mai significativa.

Pollera morì a 66 anni, causa una polmonite contratta a seguito di una pioggia temporalesca che lo aveva sorpreso mentre si recava da Asmara ad Adua, presso la residenza di ras Sejum Mangascià, per insediarlo ufficialmente nel comando del Tigrai. Della sua morte e dei suoi funerali la popolazione indigena, anche di località lontane, ebbe notizia attraverso il battere dei tamburi, come si usava in occasione di notizie importanti, ed una folla numerosissima, rese omaggio al rappresentante del governo della lontana Italia, ma soprattutto all’uomo, al grande e generoso amico, rispettato ed amato. Pollera, infatti, amò profondamente l’Eritrea e le sue popolazioni e fu da queste riamato: le studiò e le conobbe a fondo come etnografo, scrivendone ampiamente in libri ancora attuali, le amministrò, nell’ambito delle sue competenze, con realismo e saggezza quale funzionario del governo coloniale italiano, molto facendo per il loro progresso. Ma volle anche partecipare, come uomo, alla loro vera vita, unendosi ad una compagna e poi ad una moglie eritrea e diventando padre di sei figli e nonno di molti nipoti. E’ stato definito un «vecchio coloniale», ma visto nel contesto di quel periodo storico e del fenomeno del colonialismo, non soltanto italiano ma europeo, si dimostrò lungimirante e operatore concreto, agendo, con un profondo senso di umanità che gli fa onore, per il beneficio di quelle terre e di quelle popolazioni e non solo per gli interessi del proprio Paese.

Era nato a Lucca nel 1873 ed aveva frequentato l’Accademia Militare di Modena, uscendone con i gradi di sottotenente nel 1893. Con quel grado aveva chiesto di prestare servizio in Eritrea (divenuta formalmente colonia italiana nel 1890) dove giunse l’anno seguente. Inizialmente destinato alla guarnigione di Massaua fu poi trasferito a Cheren e successivamente ad Adi Ugri dove, nel marzo 1896, gli giunse la notizia della disfatta di Adua. Fu poi di stanza anche ad Asmara, a Cassala e nuovamente a Cheren. Nel 1896-1897 con il VI Battaglione Fanteria Indigeni partecipò alla campagna contro i dervisci sudanesi e successivamente alla missione italiana per la delimitazione dei confini dell’Eritrea con il Sudan Anglo-Egiziano. Erano i tempi di Baldissera, di Baratieri, di Toselli. Nel 1903 il governatore della colonia Ferdinando Martini lo nominò residente nel territorio del Gasc e Setit e nel 1905 Alberto Pollera, aveva 32 anni, affrontò un cambiamento radicale della sua vita, diventando funzionario civile coloniale, alle dipendenze del Ministero degli Esteri con un incarico di grande responsabilità che lo vincolò definitivamente all’Africa Orientale. La zona assegnatali come residente era un territorio di frontiera, in gran parte sconosciuto, al confine con il Sudan e l’Abissinia, abitato dalle popolazioni Baria e Cumana, alle quali Pollera restituì sicurezza e possibilità di ripresa del lavoro, proteggendole dalle razzie di bestiame e di schiavi ad opera dei predoni provenienti dalle regioni limitrofe. Nel 1909 fu nominato Commissario della provincia del Seraé, prossima a quella dell’Hamasien dove era situata la capitale Asmara, un vasto territorio confinante ad Est ed a Sud con il Tigrai etiopico, lungo l’ansa del Mareb, abitato soprattutto da cristiani copti.

Nel numero speciale del settembre 2007 della rivista «Africus», periodico dell’Associazione Italia-Eritrea, si può leggere, nell’ ampio e bel ricordo a cura del nipote Pier Angelo, che Alberto Pollera si dedicò al nuovo incarico con passione ed energia cercando di venire a contatto con la popolazione, studiarne usi, costumi e necessità. Si muoveva cavalcando il suo mulo, adatto ai sentieri spesso disagevoli, disbrigando il suo ufficio di commissario in una tenda da campo o all’ombra di un albero di sicomoro. Grazie al suo impegno, nonostante i mezzi limitati, riuscì a realizzare lavori pubblici importanti, come la redazione del piano regolatore del capoluogo Adi Ugri, il nuovo quartiere indigeno di Addis Adi, l’acquedotto di Tacalà, l’accampamento degli Ascari e la scuola San Giorgio, migliorando la viabilità e la sicurezza delle strade, grazie anche alla costruzione di un caravanserraglio, e dando impulso ai commerci con il confinante Tigrai. Le tappe successive della lunga carriera di funzionario coloniale sono varie e non è possibile andare oltre un breve cenno. L’agenzia commerciale di Dessié, capitale del Uollo, fuori dai confini dell’Eritrea, gli fu assegnata nel 1916 e seguì, tre anni dopo, l’incarico per quella del Tigrai con sede in Adua. Nel 1929 Pollera fu nominato responsabile della regia agenzia commerciale di Gondar, sempre in Etiopia, unico europeo in zona, per fare ritorno ad Asmara nel 1932, dove si stabilì definitivamente con destinazione l’Ufficio Studi e Propaganda. Questi incarichi, che richiedevano spostamenti e residenze non certo facili, ampliarono il suo raggio d’azione e di conoscenze non solo all’Eritrea, ma anche all’Etiopia ed alle loro variegate realtà politiche, sociali ed economiche, fornendogli occasione per esperienze eccezionali.

Nel 1929 (non era ancora rientrato in Eritrea) fu invitato da Raimondo Franchetti a partecipare, come vice-comandante, all’esplorazione della Dancalia, regione dalle caratteristiche geografiche, climatiche ed etniche estreme, situata in Etiopia, nella parte immediatamente retrostante alla fascia costiera eritrea. Leggiamo ancora nello speciale di «Africus» che Pollera, oltre a relatore della spedizione, era incaricato della sua organizzazione: scelta degli itinerari, richiesta dei permessi al governo etiopico, contatti con i capi di Macallé e Mai Ceù, relazioni con i sultani dell’Aussa e del Birù, reclutamento del personale indigeno e acquisto dei materiali, equipaggiamenti, viveri, quadrupedi, ecc. Fu un impegno gravoso, ma svolto mirabilmente, che consentì alla spedizione di muoversi il 3 marzo 1929. Pollera, con i suoi 56 anni, affrontò i disagi, le fatiche e il caldo tremendo al pari dei più giovani, ma dopo appena un mese dalla partenza fu raggiunto da un corriere che gli comunicava la disposizione di tornare per assumere l’incarico consolare di Gondar. Con lui rientrarono, via Macallé, anche il grosso della carovana e tutti gli europei della spedizione, causa le sopravvenute difficoltà di approvvigionamento e le cattive condizioni di salute di vari membri del gruppo. Il barone Franchetti, invece, proseguì con alcuni ascari e pochi cammelli per poi fare ritorno a fine aprile, via Assab. Un grande esempio della generosità di Alberto Pollera si ebbe durante il periodo della sua permanenza ad Adua, quale titolare della citata agenzia del Tigrai. Riuscì infatti ad ottenere, superando le immaginabili, enormi difficoltà frapposte dalle autorità centrali e locali etiopiche, l’autorizzazione a recuperare i resti dei caduti italiani nella battaglia di Adua del primo marzo 1896. Nell’aprile e maggio del 1925, come scrive sempre Pier Angelo in «Africus», Pollera ed il medico Parona, procedettero al pietoso recupero delle salme, in gran parte non identificabili, che furono poi traslate in Eritrea per essere tumulate nell’ossario costruito a Darò Conad, in prossimità di Adi Quala.

Dall’amore per quella terra, dai suoi spostamenti e soggiorni, Pollera ricavò numerose monografie e scritti sulle popolazioni e sulle realtà socio-economiche eritree ed etiopiche, frutto di osservazioni ed esperienze dirette, ma anche dei resoconti e dei contatti con informatori e personalità locali. Tra le molte opere, ancora attuali, si possono citare «I Baria e Cumana», pubblicata nel 1913 dalla Società Geografica Italiana, «Il regime della proprietà terriera in Etiopia e nella colonia Eritrea» sempre del 1913, «La donna in Etiopia» del 1917, la relazione al X Congresso Nazionale di Geografia tenutosi a Milano nel 1927 «L’Abissinia settentrionale e lo sviluppo delle sue relazioni con l’Eritrea». Una menzione particolare merita il suo libro «La battaglia di Adua del 1° Marzo 1896, narrata nei luoghi ove fu combattuta», pubblicato nel 1928. Nel 1935, a cura del ministero delle Colonie, comparve «Le popolazioni indigene dell’Eritrea» e nel 1936 un’opera di taglio popolare, «Storia, leggende e favole del Paese dei Negus».

Abbiamo lasciato Alberto Pollera ad Asmara nel 1932, alla soglia dei 60 anni, ma nel 1935, al deflagrare del conflitto tra l’Italia e l’Etiopia venne richiamato alle armi con il grado di colonnello e nominato capo dell’Ufficio Politico del II Corpo d’Armata ad Adua, incarico che tenne per tre mesi per poi ritornare ad Asmara e successivamente passare alla segreteria particolare del governatore dell’Eritrea Giuseppe Daodiace. Il 1937 fu per lui un anno dolorosissimo in quanto colpito in ciò che aveva di più caro, i figli, in particolare il terzogenito Giorgio. Un giovane di belle speranze, che aveva frequentato le superiori a Roma, si era iscritto all’università ad Economia e Commercio e prestato servizio militare come sottotenente di complemento di artiglieria. Allo scoppio della guerra d’Etiopia partì volontario guadagnando una prima medaglia d’Argento al Valor Militare. Fu vice comandante dl VII Gruppo Bande Dubat e con questi fedeli soldati sfilò a Roma nel Maggio 1937 in occasione del primo anniversario della fondazione dell’Impero. Ma pochi mesi dopo, appena venticinquenne, al comando dei suoi dubat in una azione sull’Omo Bottego, ai confini con il Kenia, venne ucciso in uno scontro, e per il suo comportamento fu decorato di medaglia d’Oro alla memoria. Il padre gli dedicò un ricordo scritto che si legge ancora con commozione. Nell’amore per i figli fu poi ferito a seguito delle nuove, ottuse leggi governative in preparazione, poi adottate, che discriminavano i figli nati dall’unione dei nazionali con donne del luogo e che nel suo caso potevano mettere a rischio il riconoscimento e la legittimazione dei figli, pur se già effettuate dopo la loro nascita. Pollera si batté energicamente a favore del riconoscimento della cittadinanza ai figli nati da queste unioni. Nel marzo 1937 sottopose al Ministro dell’Africa Italiana Alessandro Lessona una memoria intitolata «Il problema demografico nei paesi abitati da razze diverse» e successivamente scrisse direttamente anche a Mussolini. Si rivolse altresì alla Corte di Appello di Addis Abeba che nell’agosto 1937 gli diede ragione, emanando una sentenza di conferma della cittadinanza italiana per i suoi figli. Su questa vicenda, dai complessi e sofferti risvolti, si rinvia allo studio di Luigi Goglia, comparso sulla rivista «Storia Contemporanea» nel dicembre 1985.

Sulla vita e le opere di Alberto Pollera non molto è stato scritto e molto pertanto è ancora da scrivere. E’ d’obbligo menzionare l’importante e accurato studio di Barbara Sòrgoni, «Etnografia e colonialismo. L’Eritrea el’Etiopia di Alberto Pollera 1873-1939», con l’elenco completo delle opere, così come l’esauriente ricordo fatto dal nipote Pier Angelo, cui siamo ampiamente debitori. Ma la migliore testimonianza di Alberto Pollera sono il suo esempio di vita, il suo lavoro sul campo, i suoi scritti, la dedizione e lo spirito di servizio per le sue due patrie, l’Italia e l’Eritrea, i suoi sei figli, Giovanni, Michele e Giorgio nati di primo letto da Unesc Araià Capté, originaria dalla regione di Axum, poi Mario, Marta e Gabriele avuti da Chidan Menelik, nativa di Adi Quala. La sua vita in Eritrea, e in Etiopia, durata 45 anni, coincide praticamente con l’intero periodo coloniale italiano di quella terra. La morte, nel 1939, fu prematura, ma gli impedì di assistere, e soffrirne, alla caduta dell’Impero, all’entrata degli inglesi in Asmara, alla fine della sua patria, africana ed italiana ad un tempo, consegnata all’Etiopia nel 1952 e sottoposta ad un regime di occupazione brutale (prima feudale, poi militar-comunista) da parte di Addis Abeba per quarantuno anni. Ma se fosse sopravvissuto avrebbe certamente contribuito alla nascita della nuova Eritrea.

Maurizio Maggini

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