In Italia, a partire più o meno dal 1980, abbiamo sperimentato due versioni della democrazia. Una è la democrazia consociativa, in cui tutti devono essere d’accordo su tutto e pertanto non si conclude alcunché, l’altra è la democrazia maggioritaria, detta anche democrazia dell’alternanza, in cui si riesce di tanto in tanto a prendere qualche decisione, che però viene disfatta quando il vento cambia, e pertanto è anch’essa inutile.
Giolitti, parafrasato poi da Mussolini, soleva dire che “governare gli italiani non è difficile, è inutile”.
Forse Giolitti aveva ragione, ma è solo un caso che sotto il suo governo socialista il generale Bava Beccaris sparò sui (lavoratori) dimostranti? Odierni simili trattamenti in alcuni paesi che si professano democratici o socialisti lasciano davvero pensare! Alla democrazia si viene educati non solo per viverla, ma specie se si è chiamati a gestirla ed attuarla. L’etica è la parte fondamentale per chi è chiamato a simili compiti, ma è proprio quella che più difficilmente può essere appresa e praticata. La democrazia del nostro tempo lo dimostra abbondantemente, facendo sorgere interrogativi se essa non sia solo lo strumento adatto per il piccolo gruppo, la polis greca in cui è nata, oppure se potrà mai essere attuata veramente a livello globale secondo quegli ideali da cui è nata.
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Una precisazione: nel maggio 1898 il governo era presieduto da Antonio Starabba di Rudinì.
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A parte le mie precisazioni storiche, che comunque lasciano il tempo che trovano, il vero dibattito si dovrebbe fare sul concetto stesso di democrazia: ciò che noi chiamiamo democrazia è qualcosa di diverso dalla democrazia originaria delle città stato dell’antica Grecia, anche nel nome. Ritornando al caso attuale, mi viene spontanea una domanda cui non è facile rispondere: un governo legittimo, democraticamente eletto secondo le regole attuali, deve privilegiare il “bene comune” o la “volontà del popolo”, perché non è affatto detto che siano la stessa cosa, per lo meno non sempre.
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