Le prime evidenze di qualcosa di assimilabile a ciò che oggi definiamo moneta si trovano nel tardo neolitico o comunque nell’età del bronzo, sia sotto forma di metalli più o meno preziosi, perciò dotati di valore intrinseco, sia sotto forma di gettoni rappresentativi di una data quantità di un bene definito: lo “shekel” delle civiltà mesopotamiche, ad esempio, era ancorato al grano. Nel corso della storia, vari beni furono in diverse circostanze utilizzati come moneta, ad esempio il sale, il tabacco, il cotone e le sigarette: beni che, comunque, avevano un valore intrinseco indipendentemente dal loro uso come moneta.
La sovranità monetaria pertanto non consisteva, come spesso si sostiene, nel potere di stampare moneta con criteri arbitrari, bensì nella facoltà di coniare la moneta garantendone la quantità ed il titolo in oro o in argento, a fronte di una percentuale del valore garantito (signoraggio). L’immagine del sovrano sulle monete aveva appunto la funzione di garanzia del valore intrinseco della moneta.
I sovrani tentarono in diverse occasioni di risolvere i problemi finanziari del paese coniando monete con leghe di basso pregio, anche se in genere la strada preferita era quella dell’indebitamento diretto oppure la cessione di rendite fiscali future.
Gli stessi assegnati francesi furono emessi nel 1789 come titolo di prestito garantito sui beni nazionali e non come moneta, essi furono poi trasformati in moneta nel 1791: l’eccesso di emissione causò una forte inflazione finché furono sostituiti e poi definitivamente abbandonati nel 1797.
Interessanti furono le politiche monetarie tedesche nel periodo fra le due guerre, ispirate e pilotate da Hjalmar Schacht: la riforma monetaria del 1923 che bloccò l’iper-inflazione con l’introduzione del “Rentenmark”, moneta temporanea garantita in ultima istanza da un’ipoteca generica sui terreni agricoli e sui beni industriali, nonché il complesso artificio monetario del 1934 che creò di fatto liquidità tramite i “Mefo-Wechsel”, titoli di credito apparentemente industriali, spendibili come moneta solo sul mercato interno e garantiti di fatto solo dalla capacità produttiva del sistema.
L’idea che la moneta dovesse avere un valore intrinseco o essere comunque un titolo rappresentativo di un bene e convertibile in esso fu consolidata per secoli: ancora il sistema aureo del XIX secolo ed il sistema a cambio aureo definito a Bretton Woods nel 1944 avevano conservato l’idea che la moneta fosse in qualche modo un titolo rappresentativo di una definita quantità di oro, anche se da tempo si trattava solo di una finzione. Il sistema crollò, in maniera almeno apparentemente improvvisa, con la dichiarazione di inconvertibilità del dollaro del 15 agosto 1971: da allora la moneta legale (detta anche “fiat money”) non ha più alcun valore intrinseco, essa non è altro che un titolo che garantisce un definito potere d’acquisto e compito dell’autorità che la governa è mantenere un adeguato livello di fiducia nella moneta stessa ed in particolare nel suo potere d’acquisto futuro.
Questa situazione da una parte ha favorito lo sviluppo economico, dall’altra ha generato problemi di sovra-indebitamento ed ha permesso il prevalere della finanza sull’economia, con effetti negativi ormai evidenti fra cui il prevalere degli interessi a breve o brevissimo termine su quelli a medio o lungo termine.
In Europa, la moneta unica è stata vantaggiosa per alcuni paesi, mentre è stata dannosa per altri, fra cui l’Italia, ove tuttavia essa ha comunque svolto una funzione limitatrice della spesa senza la quale i politici avrebbero potuto continuare ad indebitare il paese per soddisfare esigenze contingenti o per pilotare il consenso.
In un certo senso, l’euro ha preso, almeno in parte, il posto del dollaro nel sistema di cambio aureo istituito a Bretton Woods che, ancorché sbilanciato in favore del dollaro e della sterlina, aveva comunque permesso lo sviluppo economico del dopoguerra, il così detto “miracolo economico” che, non dobbiamo dimenticarlo, è avvenuto in un sistema di cambi fissi, la cui fine è stata una delle cause del rallentamento dello sviluppo economico.
Anche se si tratta di un punto controverso, sembra logico affermare che l’economia mondiale abbia bisogno in un prossimo futuro di una nuova base di riferimento per la moneta, ruolo svolto dall’oro o comunque dal cambio aureo fino al 1971.
Uno dei problemi che è sempre esistito nella fornitura di moneta è che la quantità di moneta e di credito disponibili, oggi definita base monetaria, devono avere un ammontare che sia tutto e solo quello necessario allo stato dell’economia reale: un eccesso di moneta, oltre un certo limite necessario per lo sviluppo, non crea ulteriore ricchezza ma solo inflazione e crisi ricorrenti, una scarsità di moneta o una perdita di fiducia nella moneta crea depressione o, in alternativa, il ricorso ad altri mezzi di scambio.
La ricerca di un valore di riferimento ha trovato diverse risposte circa la risorsa o le risorse cui ancorare la moneta per garantirne il valore:
- un paniere di monete, creando così un sistema che, pur garantendo una maggiore stabilità, potrebbe presentare a medio termine gli stessi limiti della moneta legale; su questa idea furono creati i DSP (diritti speciali di prelievo);
- una risorsa unica che comunque dovrebbe avere, sotto varie forme, un importante peso nel sistema economico o una pesante influenza su altri fattori economici (ad esempio, in un certo periodo storico si sarebbe potuto pensare al carbone o, in un periodo più recente, al petrolio; alcuni economisti, fra cui Rueff, avevano proposto semplicemente il ritorno alla base aurea)
- un paniere di risorse che, se opportunamente scelte, potrebbero garantire sia il valore della moneta sia la sua stabilità, a condizione che le risorse utilizzate per la formazione del paniere siano liberamente scambiate in uno o più mercati, importanti per il loro elevato volume nel commercio mondiale, in modo da impedirne la manipolazione (Gabriel Ardant ha proposto un paniere formato da oro, argento, rame ed altre materie prime);
- l’unità di lavoro, stabilendo una parità della moneta in ore lavorative normali. A parte la difficoltà di definizione dell’ora lavorativa normale, qualcosa simile è stato già tentato:
- ad esempio, nel 1863 il presidente Lincoln, in virtù dell’art. 1 della Costituzione degli Stati Uniti d’America, fece stampare “cambiali di prestito (greenbacks)” concesse senza interesse né copertura dal popolo al proprio governo e garantite solamente dal lavoro del popolo stesso, sia pur in maniera generica e non quantitativa;
- gli stessi “Mefo-Wechsel” erano, sia pur con un meccanismo complesso, garantiti solo dalla capacità produttiva del sistema.
- utilizzare come moneta internazionale una moneta virtuale simile alla “libra” ma soggetta a controllo internazionale (proposta di Mark Carney);
- introdurre una base energetica, cioè una parità definita, ad esempio, in MWh (Megawattora) di energia elettrica; idea in sé accattivante, anche se viene scarsamente considerata dal punto di vista accademico e professionale, forse perché se ne sono impadroniti alcuni scrittori di fantascienza. D’altra parte, sotto certi aspetti, l’energia sembra essere preferibile alle soluzioni viste in precedenza in quanto la sua disponibilità tende ad adeguarsi naturalmente allo stato dell’economia ed inoltre, nel medio o lungo termine, il prezzo di ogni prodotto è in qualche modo legato all’energia necessaria per produrlo.
Gianluca di Castri – 31.XII.2020
Caro Presidente,
due soli commenti qualche interrogativo al riguardo:
1) Come noto, in macroeconomia, la curva di Phillips è una relazione inversa tra il tasso di inflazione e il tasso di disoccupazione. Il trade-off inflazione-disoccupazione provato da tale curva, rilevata in concreto su un periodo storico, è ciò che doveva in passato affrontare ogni governo. Questo trade-off è ancora di attualità, ma il quantitative-easing sperimentato nelle recenti crisi mostra chiaramente che l’immissione in grandi quantità di moneta (fiat e non) non genera necessariamente inflazione, almeno nei termini previsti dalla “Teoria”( per es. la nota pV=Mt che dice come il prodotto tra il livello generale dei prezzi (p) per la velocità di circolazione (V) eguaglia il prodotto tra la massa monetaria in circolazione M per il tempo (t) di un periodo di riferimento). Inoltre, sappiamo oggi che l’adozione di moneta elettronica permette adeguamenti del valore di una valuta istantaneamente, in tempo reale. Mi chiedo quindi se non dovremmo riflettere sulla possibilità di “convivere” perennemente nel futuro con una moneta elettronica che muta valore costantemente, inseguendo i prezzi, cosa che dal punto di vista puramente tecnico è assolutamente fattibile. Un noto politico da me interrogato sulla possibilità di convivere con elevata inflazione, per beneficiare di piena occupazione come suggerisce la curva di Phillips, quando ancora la moneta elettronica non era così diffusa, mi ha risposto così : “Vivere di carta stampata è da cialtroni!” . Ma è veramente così? Chiediamocelo!
2) In un clima in cui l’energia elettrica viene definita dalla Giurisprudenza come bene non essenziale alla vita, ma che porta solo agi, la vedo dura porre il MWh come base del valore monetario.
(Vedasi https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/09/04/cassazione-lenergia-elettrica-non-e-un-bene-di-prima-necessita-puo-portare-solo-agi-lallaccio-abusivo-non-e-giustificato/3836080/ e altri articoli similari)
Volevo poi sottolineare che, secondo una certa storiografia, si racconta che l’inflazione la generavano i sovrani ( o i suoi banchieri?) allorquando impoverivano il titolo del contenuto in metalli preziosi delle monete coniate.
Buon proseguimento delle festività in corso.
R. Morelli
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ERRATA CORRIGE
Ero atteso a tavola e per la fretta ho inserito una relazione che è errata, ed in realtà è pQ=MV che dice come il prodotto tra il livello generale dei prezzi (p) per la quantità prodotta (Q) eguaglia il prodotto tra la massa monetaria in circolazione (M) per la velocità di circolazione (V) in un un periodo di riferimento (t).
Chiedo Venia.
R.Morelli
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Il fenomeno inflazionistico si è manifestato già in tempi molto antichi, se ne parla già in qualche papiro egizio e, forse, nel mito del re Mida; esso è descritto già da proto-economisti come, ad esempi, l’abate Ferdinando Galliani. A tutti noti i fenomeni inflazionistici dovuti ad eccesso di moneta nella Spagna del XVI e XVII secolo, ulteriormente aggravati dal tentativo di ridurre il valore intrinseco delle monerte in circolazione utilizzando una lega detta viglione, l’equivalente odierno della “moneta facile”.
La classica curva di Phillips è stata messa già in discussione negli anni ’70 dello scorso secolo, allorché ci trovammo in una situazione in cui esistevano contemporaneramente un elevato tasso di disoccupazione ed un’elevata inflazione (per esattezza, si trattava in buona parte di inflazione importata), ricordo che fu inventata l’orribile parola “stagflazione”, essa inoltre non giustifica alcuni fenomeni iper-inflazionistici del XX secolo.
L’equazione monetaristica pQ=MV, un po’ come l’equazione dei gas perfetti, vale solo sotto particolari condizioni tuttavia, mentre per i gas abbiamo van der Vaals ed altre equazioni da poter utilizzare se dobbiamo proigettare, ad esempio, una turbina in economia siamo ancora fermi ad un’equazione teorica che perde la sua validità all’infuori di un certo dominio. Ad esempio, non è pensabile di compensare la scarsità di monetsa aumentando all’infinito la velocità di circolazione della stessa perché verrebbe meno una delle funzioni della moneta (cioè la creazione di una riserva di potere d’acquisto).
Guardando al futuro, nel breve termine (diciamo una ventina d’anni) non ci saranno grandi cambiamenti, le nazioni che sono riuscite ad ottenere per la loro valuta lo status di moneta internazionale (USA) o che aspirano a tale status (Cina) non lo permetteranno. Nel medio termine penso che il problema si porrà, non ho idea di se e come esso sarà risolto, tuttavia credo che le forme più adatte siano quelle descritte ai punti (5) e (6), gli unici veramente innovativi.
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