Marina Tria era mia cugina: figlia del prof. Eusebio Tria e di Sofia di Castri.
Quasi coetanei, da piccoli eravamo molto legati. Per due anni di seguito, da bambini, trascorremmo le ferie estive insieme: una prima volta al mare, vicino Roma (non ricordo esattamente dove) ed una volta a Ronzone, in provincia di Trento, ove loro avevano acquistato una casa.
Negli anni ’60 ed all’inizio degli anni ’70 abitavamo a qualche centinaio di metri di distanza, io in via Archimede e lei in viale Bruno Buozzi. Ci vedevamo spesso.
Ricordo bene la festa del suo diciottesimo compleanno, e poi il suo matrimonio con Luciano Cerulli: in tale occasione i miei fratelli più piccoli erano l’uno paggio e l’altra damigella, con vestiti fatti per l’occasione in velluto color giallo oro.
Altri tempi, un altro mondo.
Nel 1972 iniziai a lavorare a Milano e poi trascorsi molti anni in Medio Oriente, ci vedevamo raramente ma un rapporto iniziato nell’infanzia o nell’adolescenza resta comunque vivo, ed anche se non ci si vede per decenni quando ci si rincontra è come se ci si fosse visti il giorno prima.
Quasi ogni volta che ci incontravamo mi ricordava un episodio di molti anni or sono quando, avevamo meno di dieci anni, io l’avevo buttata giù da una finestra: c’era del vero in questo ricordo, si trattava comunque di una finestra molto bassa, di un piano ammezzato (anche se nel tempo i ricordi si ingigantiscono e sembrava l’avessi buttata giù dall’Empire State Building).
Era malata da qualche tempo ed ora ci ha lasciato: l’ultima volta ci eravamo incontrati in occasione di una delle mie rare visite a Roma, sarà trascorso un anno o poco più.
Marina, sit tibi terra levis.

