Immigrazione e cittadinanza

Alcune considerazioni personali su un problema di estrema attualità. Inizio col dichiarare che si tratta di considerazioni tipiche di una mentalità conservatrice, non “politicamente corrette” e non conformi al “buonismo” imperante: consiglio a tutti coloro che ritengono che esprimersi in maniera politicamente corretta sia più importante che esprimere correttamente le proprie idee di non leggere oltre.

  1. L’Europa tutta, e l’Italia in particolare, attraversano una crisi demografica probabilmente irreversibile: per mantenere l’attuale tenore di vita non c’è alternativa se non favorire l’immigrazione. I governi non hanno i mezzi per imporre ai propri cittadini di fare figli, possono invece, anzi devono, creare le condizioni per cui chi vuole fare figli non sia penalizzato: in Francia ci sono riusciti, almeno in parte, dunque è possibile, tuttavia per vederne i risultati occorre il tempo di almeno due o tre generazioni.
  2. L’immigrato regolare o regolarizzato,  in Italia deve godere di tutti i diritti civili e deve essere rispettato così come rispettiamo, o dovremmo rispettare, i nostri connazionali: l’immigrazione non è e non deve essere né un serbatoio elettorale né una riserva di mano d’opera a basso costo e senza diritti. A parità di livello di lavoro e di prestazioni, l’immigrato deve essere pagato esattamente come gli italiani e godere delle stesse garanzie e degli stessi obblighi di legge e di contratto; inoltre deve avere, come gli italiani, accesso alla sanità, all’istruzione per i figli e così via. D’altra parte, egli deve rispettare le leggi ed essere soggetto agli stessi doveri cui sono soggetti gli italiani, eccetto quello di difendere il paese. All’ingresso, deve se necessario essere sottoposto a controlli sanitari ed alle vaccinazioni obbligatorie (ciò dovrebbe valere anche per gli immigrati non regolarizzati, in attesa di definizione della loro posizione). Tuttavia, tutto ciò non significa che sia italiano né che siano italiani i suoi figli.
  3. Essere italiano, come essere cittadino di qualsiasi altro paese,  non significa solo pagare le tasse e rispettarne le leggi: significa conoscerne la lingua, la cultura e la storia, conoscerne ed apprezzarne la civiltà e condividerne l’identità ed  i valori, essere disposti a difendere tutto ciò con le parole, con il comportamento e, se necessario, con le armi ed a rischio della propria vita, come peraltro previsto anche dalla nostra costituzione. Gli italo-americani, così come gli americani di origine tedesca, hanno dimostrato di essere cittadini americani prendendo le armi, nella seconda guerra mondiale, contro il loro paese d’origine.

A questo punto viene spontanea la domanda: che fare? Mi limito ad esprimere alcune idee:

  1. Studiare una forma di residenza permanente o di cittadinanza parziale, spostando il diritto alla piena cittadinanza dalla seconda alla terza generazione
  2. Favorire, nei limiti del possibile, l’immigrazione da quelle  culture più vicine alla nostra ed in particolare creare “ponti d’oro” ai discendenti di italiani che chiedono di rientrare
  3. Favorire, anche con opportune facilitazioni pensionistiche, il rientro al paese d’origine, dopo un periodo di lavoro:  ciò che in Italia è una modesta pensione può garantire in altri paesi un livello di vita elevato ed inoltre  costituire un trasferimento di risorse che può contribuire allo sviluppo del paese del ricevente.

Gianluca di Castri – 20/06/2017

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