Fino a non molti anni or sono, si raccontava ai bambini la favoletta della cicala e della formica, considerandola per di più come una storia educativa; molti fra i lettori la ricorderanno. L’assunto della favola è che, durante l’estate, la cicala perda il suo tempo a cantare ed a divertirsi mentre la giudiziosa formica accumuli provviste per l’inverno; a parte il fatto che chiunque abbia una pur minima conoscenza degli insetti sa che non è così, non vedo perché non si possa pensare ad una cicala che, con il suo canto, lodi il Signore per averla creata, oppure ad una cicala che, comunque, rende un servizio agli altri addolcendo la loro vita con la sua musica (si fa’ per dire; personalmente, trovo ossessivi i suoni emessi dalle cicale e dai grilli, ma dobbiamo restare nella favola). Poi, la scena della favola si sposta d’inverno; la formica si chiude nella sua tana piena di provviste, mentre la cicala resta fuori, al freddo e senza cibo; a questo punto la cicala bussa alla porta della formica per chiedere aiuto, e quest’ultima le chiude la porta in faccia, dicendo “hai cantato; ora balla”. Ve ne ricordate? E questa dovrebbe essere una favoletta educativa? Pensiamoci un attimo: essa è, di fatto, la patente negazione del messaggio cristiano, e non credo sia necessario spendere altre parole per dimostrarlo; certo, il risparmio e la previdenza possono essere virtuosi, se servono a creare riserve per se stessi e che possano, al bisogno, essere condivise con altri, ma non dimentichiamo che l’avarizia è un vizio capitale, che può portare all’Inferno (mentre la prodigalità porta solo alla miseria, senza necessariamente compromettere l’anima). Questa favola insegnava ai bambini a dare priorità alle cose materiali, a vivere secondo il mondo e non secondo il Vangelo; esattamente il contrario di quanto ha insegnato Gesù Cristo. Quando ci lamentiamo del danno educativo creato dalla moderna cultura basata sull’immagine facciamo bene, ed è nostro dovere di cristiani selezionare i programmi televisivi ed i video giochi dei nostri figli e non lasciarli in balia dello schermo, è nostro dovere di cristiani fare quanto in nostro potere, poco o molto che sia, perché i programmi televisivi siano migliorati, perché determinati siti Internet siano definitivamente oscurati, e così via; per fare questo abbiamo nelle nostre mani un’arma, umile e potente, il cui nome è telecomando. Ma guardiamoci dall’errore di rimpiangere il “bel tempo andato”, rimpiangendo una famiglia modello che è perfetta in tutto fuorché in una cosa: non è mai esistita. Non credo che, nella vecchia società agricola, quando, almeno in certi mesi dell’anno, non si sapeva a mezzogiorno se e cosa si sarebbe mangiato la sera, la gente vivesse immersa nella preghiera e nella spiritualità. Di fatto, il suo unico problema era la fame. Guardiamoci bene dal condannare il progresso scientifico o tecnologico, che è moralmente neutro; ciò che importa è l’uso che se ne fa. La favoletta sopra ricordata ci dimostra che anche allora, come adesso, si dava troppa importanza ai beni materiali e che anche allora, come adesso, si poteva fare un danno educativo raccontando favole devianti; e che ciò avvenga in una stalla o di fronte ad un televisore è del tutto indifferente. Il cristiano crede che esiste l’ intervento provvidenziale di Dio nella storia e che pertanto la vicenda umana è un’ascesa verso la perfezione, sia pur difficile e discontinua; chi conosce, almeno un poco, la storia, può confermare che questo è vero.
(già pubblicato su Terzo Millennio, supplemento della rivista Il Segno, marzo 2003)