Carlo Cipolla – Il pestifero e contagioso morbo: Combattere la peste nell’Italia del Seicento (Il Mulino, 2012)
Il libro di Carlo Cipolla è dedicato ai metodi di lotta contro la peste nel XVII secolo, con particolare riferimento all’epidemia del 1630. Esso è di particolare interesse storico, in quanto dimostra come le città italiane, in particolare le città-stato dell’Italia centrale e settentrionale, ma anche, sia pure in minor misura, Roma e Napoli, fossero riuscite già da tempo a studiare sistemi di contenimento dell’epidemia all’avanguardia nel mondo. Pur ignorando la modalità di propagazione della peste, anzi avendo a tale proposito idee completamente sbagliate, i metodi da lori messi in opera erano validi e, di fatto, sono usati ancora oggi.
Lo stesso soprabito in stoffa cerata usato dai medici della peste aveva in realtà una certa efficacia, anche se per motivi diversi da quelli che all’epoca erano presi in considerazione (in realtà era solo una barriera contro le pulci, i medici dell’epoca se ne resero conto ma tuttavia non riuscirono ad intuire che le pulci fossero il vettore della peste)
Il libro è organizzato in tre capitoli. La prima osservazione interessante è relativa al fatto che, già dalla peste del 1348, le città italiane avevano iniziato a mettere in opera un sistema, basato su apposite Magistrature di Sanità, che raggiunse un alto grado di complessità e raffinatezza entro la metà del XVI secolo (nella terminologia dell’epoca, il termine “magistratura” indicava un organismo che, in termini moderni, si direbbe dotato di una combinazione di poteri sia esecutivi che legislativi e giudiziari).
Il primo capitolo affronta il problema delle competenze: già nel 1557-58, in occasione di una grave epidemia di probabile natura influenzale in Sicilia, erano state distinti i campi di attività del medico, responsabile della terapia verso il paziente e della prevenzione verso gli uffici di sanità, da quella degli uffici di sanità, responsabili della prevenzione verso la collettività tutta.
Il capitolo secondo affronta il rapporto fra sanità pubblica e relazioni “internazionali”, con particolare riferimento agli accordi per una gestione coordinata della prevenzione ed in particolare dei bandi e delle sospensioni, cioè delle interruzioni delle comunicazioni e del commercio con località sospette. L’accordo fra la Repubblica di Genova ed il Granducato di Toscana fu stipulato nell’estate del 1652 ed esteso neglianni successi allo Stato Pontificio ed al Regno di Napoli, sia pur con minore efficacia, che per quest’ultimo erano in parte dovuti anche alle limitazioni di sovranità a causa dell’appartenenza alla Corona di Spagna. Tale accordo di collaborazione ebbe breve durata, fino al 1657, ma rappresentò il primo importante capitolo della cooperazione sanitaria internazionale; il tentativo successivo, dopo circa due secoli (23 luglio 1851) con la prima conferenza sanitaria internazionale di Parigi, durò sei mesi e non diede risultati soddisfacenti.
Il terzo capitolo tratta del particolare caso dell’epidemia di peste a Pistoia nel 1630-31, in particolare prendendo in esame la differenza di mortalità con le località limitrofe e tentando di capirne le cause.
Notiamo innanzitutto come, pur senza conoscere le cause del morbo, i provvedimenti di prevenzione fossero validi: ad esempio, il 4 settembre 1630, fu deciso di “togliere l’acqua benedetta dalle pile delle chiese della città”.
Il dato interessante è il tasso di mortalità (1) che era normalmente compreso fra il 25% ed il 50%, corrispondente ad un tasso di letalità variabile dal 60% all’80%. L’autore pubblica i dati della mortalità in diverse città italiane durante le pestilenze del XVII secolo, che variano dal 24% (Bologna, 1630-31) al 50% (Parma e Pescia, 1630-31) con alcune eccezioni:
- 61% (Verona, 1630-31), 60% (Genova, 1656-67), 59% (Padova, 1630-31), 57% (Monza, 1630-31),
- Roma (19% nel 1656-57), Firenze (12% nel 1630-31), Empoli (10% nel 1630-31),
- ed infine con il caso inspiegabile di Pistoia (1.5% nel 1630-31)
Interessanti anche i dati sui costi dell’epidemia e sulle forme di finanziamento.
(1) si definiscono tasso di morbilità il rapporto fra numero dei contagiati e popolazione, tasso di mortalità è il rapporto fra numero dei morti e popolazione, e tasso di letalità il rapporto fra morti e contagiati. Dunque mortalità = morbilità x letalità