Il Generale (poi Maresciallo d’Italia) Enrico Caviglia (1862-1945) ebbe nel 1920, dal governo presieduto da Giolitti, lo sgradevole incarico di condurre le operazioni militari contro i legionari comandati da Gabriele d’Annunzio, che avevano occupato Fiume e l’avevano costituita come stato indipendente, ancorché a titolo provvisorio.
in tale occasione, Caviglia, in occasione del suo incontro con d’Annunzio nei giorni precedenti l’inizio delle ostilità ed avente lo scopo di evitarle, disse “Io sono un soldato e qualunque possa essere la mia meditazione e il mio pensiero devo ubbidire. Il vedere continuamente in ognuno che si ribella un eroe e un martire è segno di profonda inferiorità. Popoli forti e dominatori sono quelli che riconoscono la ragione di Stato e ad essa si inchinano. Non quelli che per vano sentimentalismo esaltano come eroico il gesto ribelle” (il discoso è riportato in D. Quirico – Generali – Mondadori 2006 a pag. 281).
Leggere questo passo mi ha colpito, perché mio padre, Generale R.O. Mario di Castri (1899-1968), avrebbe potuto dire esattamente le stesse cose.
Egli all’epoca era probabilmente ancora sottotenente e fu fortemente tentato, nel 1919, all’inizio dell’Impresa di Fiume, di raggiungere i legionari di d’Annunzio: una volta disse, o forse si lasciò sfuggire, che si era già preparato al viaggio, ma comunque decise di restare al suo posto, riconoscendo la ragione di Stato ed inchinandosi ad essa.