“L’Impero tradito” è un libro scritto da Alessandro Bruttini e Giuseppe Puglisi e pubblicato dall’editore La Fenice di Firenze nel 1957. Esso è la storia della caduta dell’Impero, cioè di fatto dell’Africa Orientale Italiana, nella seconda guerra mondiale, più precisamente nel 1941. Si tratta di una narrazione documentata degli eventi, svolta da due protagonisti, Alessandro Bruttini, Capo dell’Ufficio Informazioni Militari del Viceré, e Giuseppe Puglisi, che all’epoca era giornalista in Eritrea.
Gli autori sostengono che la decisione dello Stato Maggiore Generale, respingendo il “piano mediterraneo” del Viceré Amedeo di Savoia, duca d’Aosta, in favore del “piano continentale”, abbia di fatto decretato la fine dell’Impero: essi non rispondono alla domanda sui motivi di tale decisione, suscitando però altri interrogativi ed interessanti ipotesi.
Nel proemio, gli autori “intendono far conoscere, assieme alle prodezze dei soldati d’Italia, che costituirebbero orgoglio di qualsiasi popolo virile, l’azione di comandante di Amedeo d’Aosta” e dichiarano che in diversi casi “è stato materialmente impossibile rintracciare nomi e notizie di comandanti e gregari”.
Il capitolo IX è dedicato all’attacco contro la Somalia ed il paragrafo 57 alla battaglia del Giuba. è citato il contrattacco del 22 febbraio 1941 da parte dell “eroico VIII gruppo” Dubat e di altri, con perdita del 60% degli effettivi. (pag. 236 e 237)
L’autore non cita i nomi del comandante e degli ufficiali, io sono in grado di farlo perché l’VIII gruppo era stato costituito e comandato da mio padre, allora col grado di maggiore e successivamente generale Mario di Castri, R.O. (1899-1968)
La fonte è la relazione sull’attività svolta dall’VIII gruppo Dubat dal 21 gennaio al 25 febbraio 1941 redatta da mio padre nel giugno 1941.
All’inizio della battaglia, l’VIII gruppo era costituito da:
- maggiore Mario di Castri, comandante
- tenente Pietro Gagliostro (altrove citato come Cagliostro), aiutante maggiore
- capitano medico Mario Gulizia, dirigente servizio sanitario
- sottotenente Domenico Altomonte, banda comando
- tenente cappellano don Antonio Crippa
- tenente Ignazio Albanese, 1° sottogruppo
- tenente Sergio Galli, 1° sottogruppo
- sottotenente Edoardo De Fornari, 1° sottogruppo
- tenente Antonio Ventrella, 2° sottogruppo
- tenente Alfredo Falagiani, 3° sottogruppo
- tenente Dino Biagini, base Gelib
- sergente maggiore Giovanni Robaldo
- sergente maggiore Umberto Melis
- sergente maggiore Pasquale Soria
- sergente maggiore Italo Limauro
- sergente maggiore Santo Tondo
- 680 dubat
La relazione cita inoltre il capitano Giglio, comandante del 75° btg. coloniale, il tenente de Paoli, il tenente Russo, il tenente Bissi, il maresciallo de Franceschi, il sergente maggiore Moglie (non identificati nell’organico), ed alcuni capi banda: Abdula Fara Beidian, Omar Mohamud, Omar Mohamed. Sono inoltre citati il colonnello Mazzi, che assunse il comando del sottosettore in 16 febbraio divenendo pertanto il diretto superiore di mio padre, il maggiore Fossataro, comandante del 40° btg. amara, il maggiore Gandolfi, capo di S.M. della divisione ed il tenente Bonzani dei Carabinieri.
La relazione si conclude così: “Fiero del dovere compiuto oltre i limiti del realizzabile è mio orgoglio di Comandante segnalare questi prodi che s’imposero al rispetto del nemico, alla considerazione dei superiori ed alla gratitudine della madre Patria – dalla prigionia in Kenya, giugno 1941 – XIV – il Maggiore Comandante del Gruppo VIII Dubat (Mario di Castri)”
Alla relazione è allegata la tabella delle perdite, redatta successivamente e datata 6 maggio 1948:
- morti: ufficiali 2, graduati 5, dubat 76
- feriti: dubat 154
Le perdite ammontarono pertanto al 34%, cifra altissima anche se inferiore a quella citata nel libro.
Non so se vi sia qualcuno ancora in vita, temo di no, il più giovane dovrebbe ormai essere fra i novantacinque ed i cento anni di età: essendo nato nel 1947, ho avuto modo di conoscerne alcuni, con cui mio padre aveva continuato a vedersi, so che con altri aveva continuato comunque un rapporto epistolare. Ne ricordo alcuni:
- Mario Gulizia, che riprese la sua attività di medico in Liguria e morì circa un anno dopo mio padre
- Ignazio Albanese, poi colonnello, che restò in stretto rapporto con mio padre: negli ultimi anni di attività si occupò del reimpatrio delle salme dei soldati italiani
- l’allora maggiore Fossataro, credo si chiamasse Gennaro, che ricordo come persona estremamente brillante
- il tenente Russo, poi colonnello, che ricordo appena
Allo stesso modo, credo che non vi siano più dubat in vita; nel 2002, quando Domenico Quirico ha scritto “Lo Squadrome bianco” vi erano ancora circa 1600 ascari eritrei ancora in vita, tuttavia si trattavadi ottantenni ed ormai saranno anch’essi in massima parte morti.
Gianluca di Castri
7 aprile 2016