Equo profitto

Ripropongo qui di seguito un testo apparso su AVVENIRE in data 11/01/2022. Premesso che condivido la necessità, espressa da Tarquinio, di definire il concetto di equo profitto in modo che esso possa essere calcolato e trasformato in un numero, condivido anche l’affermazione sulla difficoltà di farlo. Infatti l’equo profitto deve essere determinato in funzione di molte variabili, fra cui dobbiamo considerare:

  • i tassi di interesse vigenti: il tasso di profitto deve essere superiore al tasso di interesse relativo a titoli a basso rischio, altrimenti non avrebbe senso alcuno investire il proprio capitale e, nel caso degli imprenditori, anche il proprio lavoro e la propria immagine
  • le variazioni del tasso di inflazione previsto per la durata del ciclo di vita del progetto e gli altri parametri necessari a ipotizzare l’evoluzione dei tassi di interesse
  • il tasso di rischio del progetto: un progetto relativo allo sfruttamento di una miniera sul pianeta Saturno deve avere un profitto superiore a quello relativo all’esercizio di un parcheggio

La conclusione che se ne trae è che non sarà mai possibile fissare un valore massimo del tasso di profitto, come è stato fatto per il tasso usuraio, ma si potranno solo definire criteri di riferimento con i quali calcolarlo caso per caso.

In realtà in passato furono fatti alcuni tentativi: la legge 741/1981 fissava, per il calcolo della revisione prezzi degli appalti di costruzione, un utile pari al 10% dell’importo dell’appalto e tale criterio era utilizzato anche per il calcolo dell’equo compenso in caso di prolungamento dei lavori per causa non dipendente dall’appaltatore. Tale legge è caduta in disuso e oggi in simili casi si riconosce un utile superiore (nel mio libro del 2009, Project Management per l’Edilizia, cito la legge 741/81 che io stesso ho applicato diverse volte allorché mi sono trovato a svolgere la funzione di CTU per contenziosi relativi a prolungamento dei lavori, ma dico anche che in campo internazionale è considerato il 15%)

Forse è il caso di chiarire che l’utile di cui sto parlando è quello relativo all’importo contrattuale o, in altre parole, al prezzo di vendita mentre quello cui fa’ riferimento l’articolo è quello relativo al capitale investito: i due parametri sono evidentemente correlati, ma non esiste un coefficiente generale per passare dall’uno all’altro che deve essere determinato caso per caso (in linea puramente teorica e semplificata, per non dire semplicistica, esso corrisponde al rapporto fra capitale investito ed importo delle vendite*) .

Si arrivi presto alla definizione di un limpido «equo profitto»


Si arrivi presto alla definizione di un limpido «equo profitto»

Marco Tarquinio martedì 11 gennaio 2022

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Caro direttore,
leggendo su “Avvenire” di domenica scorsa, 9 gennaio 2022, l’editoriale del professor Becchetti intitolato «Il solo prezzo accettabile» nel quale si ragiona sul come andare «oltre le contraddizioni del capitalismo», sono rimasto molto perplesso nel veder richiamate certe chiusure di aziende in attivo verificatesi di recente in Italia e dovute esclusivamente alla necessità di massimizzare il profitto degli azionisti. È questa la ragione per cui si delocalizza verso Stati dove il costo del lavoro è minore, ignorando il danno economico e sociale che si genera là dove si chiude una realtà produttiva che pure era attiva economicamente. Tutto ciò mi sembra gravissimo e immorale e mi sorge una domanda: non è possibile definire il concetto di “equo profitto” trascurando il quale si incorre in un reato come succede quando si applicano tassi di interesse usurai? Non è accettabile che alcuni abbiano il massimo rendimento economico facendo pagare ad altre persone buttate sul lastrico il proprio vantaggio. Mi sembra un modo di agire che grida vendetta al cospetto di Dio.

Carlo Maria Pagliari Milano

La penso come lei, gentile e caro ingegner Pagliari. La chiusura e la delocalizzazione di aziende in salute (che avvenga in Italia o altrove) per puntare a profitti sempre più alti è un misfatto vero e proprio e per noi cristiani – come lei suggerisce e come un tempo si diceva – è uno di quei peccati che «gridano vendetta al cospetto di Dio». Detto questo, credo che non sia facile dare sostanza al concetto di “equo profitto”, ma credo anche che sia indispensabile farlo a livello mondiale sulla base di una serie di parametri che tengono conto sia del conto economico di un’impresa sia del rapporto tra quell’attività e l’ambiente umano e naturale in cui si realizza.

* infatti posto Q il valore del rapporto fra utile e vendite e K il rapporto fra utile e capitale investito si ha

  • Q = utile / vendite
  • K = utile / capitale
  • Q/K = capitale / vendite

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