Questa volta la “giraffa” tocca un tasto difficile per cui è necessario un commento più articolato:
(1) si parla talora del contrasto fra “identità” e “dialogo”, tuttavia solo chi ha un’identità forte e definita è in grado di dialogare con gli altri
(2) chi ha un’identità forte e definita firma sempre con nome e cognome ciò che pubblica o, in alternativa, sceglie di tacere
(3) concordo sul fatto che oltre all’identità individuale esista un’identità collettiva anzi credo che una persona possa essere parte di più di un’identità collettiva (mentre l’identità persona deve essere unica, ancorché possa essere articolata in varie componenti, che sono comunque aspetti di una stessa identità)
(4) quanto alla nave di Teseo, credo che Aristotele avrebbe risposto che l’identità della nave è data dalla forma e non dalla materia. Ciò premesso, ringrazio la giraffa per il suo bellissimo articolo.
Per comodità del lettore trascrivo il testo dell’articolo:
https://www.linkedin.com/pulse/la-nave-di-teseo-alessandra-colonna-gyxrf/
La Nave di Teseo
I enjoy helping people to improve their negotiation skills – Author of La Versione della Giraffa
October 28, 2024
Qualche giorno fa la Giraffa, nel suo girovagare per la savana e altri luoghi, è andata a sentire una conferenza di un noto psicologo, il quale suggeriva a una platea fremente di genitori smarriti alla ricerca di consigli per come crescere i propri figli adolescenti, di fare loro una domanda: “Ma tu chi sei?”.
Accidenti, che domanda ma è soprattutto la risposta a sembrarmi impegnativa! Dare parole alla nostra identità, definire chi siamo e ciò che siamo non è da poco.
Ed ecco che alla Giraffa si è accesa una scintilla. Ti parlerà, caro lettore, di identità.
Già definire che cosa sia l’identità non è semplice ma ancor meno definire che cosa definisce l’identità. Il gioco di parole è voluto. Ci muoviamo in una materia complessa.
La Giraffa si è imposta di “seguire”, con impegno, una persona di sua conoscenza, nell’arco di una giornata. Ha notato che prima ha aggiornato il suo profilo LinkedIn con una foto seria e professionale. A pranzo ha postato su Instagram una storia spensierata dal suo ultimo viaggio in Nepal. Nel pomeriggio ha scritto un post riflessivo sul suo blog anonimo dedicato alla salute mentale. E infine, la sera, ha partecipato a una discussione accesa su X usando uno pseudonimo.
Identità frammentata su più palcoscenici
A parte la fatica costata alla Giraffa per l’inseguimento social, attività a cui non è per nulla avvezza, la prima domanda che mi è nata è: ha senso parlare, e ancora di più nell’era digitale, di una unica identità? La domanda, però, forse è mal posta. La tecnologia ha solo frammentato la nostra identità in mille piccoli pezzi digitali, facendo solo emergere con più nitidezza qualcosa che già c’era in noi. Oggi, semplicemente, i tanti noi prendono forma e sono anche la somma dei nostri post, delle nostre foto, dei nostri like, dei nostri commenti. Ogni piattaforma richiede una versione leggermente diversa di noi stessi, come se fossimo attori che cambiano costume a seconda della scena da interpretare.
Prima interpretavamo solo nella realtà, oggi anche sul digitale. Il problema è tenere a bada tutto. Il mondo digitale ha solo amplificato il modo schizofrenico di costruire e presentarci al mondo ed esprimere la nostra identità. Un nuovo ecosistema in divenire, on life, come ha detto un noto filosofo, in cui ci troviamo a gestire multiple versioni di noi stessi tra il reale e il virtuale, che tendono sempre più a fondersi in un tutt’uno. Forse ci siamo già on life ma gestire molteplici identità lo facciamo da sempre.
Identità collettiva
Insieme all’identità individuale e alla sua frammentazione, esiste poi l’identità collettiva, figlia della naturale tendenza umana a incrocchiarsi con i simili. Il concetto di identità collettiva ha due aspetti: da una parte l’influenza del contesto sulla nostra identità che, per quanto unica subisce molte influenze esterne e dall’altra l’identità come gruppo di persone che si riconoscono simili. Infatti è innegabile come la nostra identità non sia figlia solo delle nostre scelte ma delle più o meno debite pressioni che riceviamo dall’esterno, dal contesto in tutto il suo portato. E quanto al secondo aspetto di identità collettiva come identità, è interessante il pensiero di Harari che in “21 lezioni per il XXI secolo” afferma che il nazionalismo, espressione dell’identità collettiva di una comunità che insiste in un determinato territorio, non sia un male in sé, anzi abbia indubbi vantaggi: è pensare di essere superiori perché appartenenti a una nazione a costituire un problema.
Caffè e pasta
È utopico pensare che l’identità sia solo ciò che scegliamo di essere, immuni dall’influenza del contesto. Io non amo particolarmente il caffè e mangio poca pasta ma quando sono all’estero, intanto, e non so perché, inizio a consumarli, e mi disturba se sono fatti male. Toccano una qualcosa che, evidentemente, senza che me ne renda conto, ha a che fare con la mia identità, plasmata dal fare parte di una comunità. Identità frammentate, identità plasmate dal contesto e cos’altro?
La Nave di Teseo
A scombinare ulteriormente le carte è il dilemma della nave di Teseo. Identità come foto o film?
Immagina, caro lettore, di possedere un oggetto e, nel corso del tempo, di sostituirne un pezzo alla volta con parti nuove. Sorge spontanea una domanda: a quale punto questo processo di sostituzione trasforma l’oggetto originale in qualcosa di completamente nuovo? Ne è cambiata l’identità o è sempre lo stesso oggetto?
Questo affascinante dilemma filosofico ci arriva dall’antica Grecia ed è conosciuto come il paradosso della nave di Teseo. Nonostante secoli di riflessioni e dibattiti tra i più brillanti pensatori, ancora oggi non esiste una risposta definitiva a questo enigma sull’identità e il cambiamento. Da Eraclito e Platone, lo scontro è ancora aperto. Di certo i due filosofi non dissertavano di nasi, labbra e seni ma con l’uso, (un tantino esasperato?), della medicina estetica quante volte ci è capitato di osservare una persona e dire “Non è più lei”. O invece è lei ma solo trasformata?
Il che ci porta a dubitare quanto meno che la nostra identità sia una foto ma che assomigli di più a un film. Il punto è quanto di questo film vogliamo essere attori o mere comparse? Torno al tema delle storie che ho toccato nel mio ruminare di settimana scorsa.
L’identità e le nostre storie
Noi siamo tutti biologicamente uguali, sono le nostre narrazioni a renderci unici ed è per questo che le amiamo molto e fatichiamo a separarcene. Sono ciò che ci raccontiamo per definirci, e qualsiasi cosa che possa attentare ai criteri con cui abbiamo costruito la narrazione di ciò che siamo ci ferisce, peggio, ci fa inalberare.
Per difendere la nostra identità e le storie con cui la definiamo siamo pronti a tutto. Perché molti non accettano che degli uomini vadano vestiti in giro con le gonne e i tacchi? Perché si devono così tanto inalberare? Fa loro forse del male fisicamente? Li rende tristi? Li fa ammalare? No, e allora? Allora tocca l’identità, costruita intorno a nuove (supposte più meritevoli delle altre) narrazioni e alla perdita di memoria di quelle antiche, perché, ricordiamo, che Cicerone considerava barbari coloro i quali indossavano i pantaloni, visto che a suo tempo a farlo erano gli odiati Galli.
Ci si mette anche l’intelligenza artificiale
Non è finita qui perché grazie (?) all’intelligenza artificiale – i social non ci bastavano a complicarci la vita – a breve avremo disponibili avatar replicanti di noi stessi, che perfettamente istruiti, potranno presenziare a un meeting o condurre un podcast mentre noi stiamo facendo tutt’altro. Potremo così consegnarci al post mortem facendo compagnia ai nostri cari grazie ai nostri longevi gemelli artificiali che condurranno la nostra vita al posto nostro. Occhio amati parenti e amici: non vi libererete di me!
Alla Giraffa viene da pensare che la difficoltà che ci attende ogni giorno non è tanto trovare la nostra “vera” identità, quanto imparare a navigare con leggiadria tra le nostre multiple identità, mantenendo però un senso di integrità personale, pur nella molteplicità.
Come diceva Walt Whitman: “Mi contraddico? Ebbene sì, mi contraddico. Sono vasto, contengo moltitudini.”
La domanda che la Giraffa si pone, e che lascia a te, caro lettore, a questo punto, è questa: se le identità si moltiplicano, si sovrappongono e si confondono, cosa significa davvero essere autenticamente se stessi? Che cosa definisce l’autenticità? E soprattutto, è ancora possibile?
