I tempi della storia

La storia dovrebbe essere un racconto obiettivo di eventi passati: certo, non si può non tener conto che anche lo storico è soggetto a filtri culturali ed ideologici, per cui forse è meglio parlare di un racconto ragionevolmente obiettivo. Ciò è evidentemente possibile allorchè si tratti della storia dell’antico Egitto ed evidentemente non lo è se parliamo dello scorso anno. La domanda è: quanti anni servono per uscire dall’attualità e passare alla storia.

La prima risposta è che la storia non riguarda i viventi, finché sono in vita coloro che hanno partecipato agli eventi esistono ancora vincoli di natura passionale che limitano l’obiettività. E allora, possiamo parlare di storia del fascismo? Effettivamente di viventi ne sono rimasti molto pochi, l’ultima classe chiamata alle armi fu il 1925 per cui i superstiti sono ormai quasi centenari ma vi sono ancora persone che, pur essendo all’epoca più giovani o bambini, ricordano ciò che hanno sofferto in particolare durante la guerra. Come tutti sappiamo, alcune passioni non sono ancora del tutto sopite. tuttavia già da parecchi anni gli storici stanno lavorando sul tema, e stanno lavorando in maniera obiettiva.

D’altra parte vi è chi sostiene che per fare la storia si debba attendere non solo la morte dei partecipanti ma anche di coloro che hanno sentito raccontare gli eventi dalla viva voce dei partecipanti e non leggendoli su testi e documenti: in altre parole si deve attendere la terza generazione. a sostegno di ciò si fa notare come una ricerca storica obiettiva degli eventi che hanno portato all’Unità d’Italia è iniziata solo alla fine degli anni ’50 del XX secolo con il libro di Acton, pubblicato in Italia nel 1960 (di fatto dopo circa un secolo).

Allorché si tenta una ricostruzione storica è importante fare riferimento alla mentalità ed al quadro legislativo e sociale dell’epoca e non a quelli attuali: purtroppo un errore comune, in chi si interessa di eventi storici, è la tendenza a giudicarli con l’ottica dei nostri tempi, invece di tentare di comprendere la cultura e la mentalità dell’epoca considerata. Inoltre, bisogna evitare di lasciarsi influenzare dalle conclusioni o conseguenze politiche o ideologiche che dalla ricostruzione storica possono essere tratte, in maniera più o meno strumentale; la storia si occupa di eventi passati, non della loro utilizzazione per finalità attuali.
Chiunque, studiando la storia, giunga a conclusioni in parte diverse da quelle comunemente note ed accettate, rischia l’orribile accusa di “revisionismo”, diceva tuttavia Renzo De Felice: “per sua natura lo storico non può che essere revisionista, dato che il suo lavoro prende le mosse da ciò che è stato acquisito dai suoi predecessori e tende ad approfondire, correggere, chiarire, la loro ricostruzione dei fatti. Lo sforzo deve essere quello di emancipare la storia dall’ideologia, di scindere le ragioni della verità storica dalle esigenze della ragion politica”

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